Il giardino di Boboli
tra committenza privata e apologia di governo
(1611-1636)
Gabriele Capecchi
ABSTRACT
Avviato intorno al 23 giugno 1611, il Giardino di Boboli riassume in chiave iconografica il disegno autocelebrativo di Cosimo II, anticipando anzi De Hetruria Regali quale manifesto di una rinnovata Ideologia del Principato. Ascrivibile a Michelangelo Buonarroti il giovane – autorevole letterato di corte e autore teatrale – con Giulio Parigi (scenografo e ingegnere, asceso in fretta ai vertici della cerchia medicea), il programma si sviluppa secondo schemi narrativi contrapposti, d’impronta neoplatonica, in una successione di ‘quinte’ polimateriche – edifici e/o strutture decorative, elementi di ‘verzura’, statuaria – divise in tre cicli principali. In sovrapposizione all’Orto de’ Pitti, forma stilistica ormai superata dalle nuove influenze (riconoscibili suggestioni da Saint-Germain-en-Laye), il ‘tema di Afrodite Uranía’ è forse quello più eloquente in termini di autocrazia granducale: alter ego del principe, il Giove fulminante di Felice Palma ne occupa il vertice compositivo per digradare, tramite una complessa platea di fiori, al progettato anfiteatro in muratura (concluso in realtà nel 1630-1634 con il simbolismo del potere cosimiano [la ricca serie di Mastini, Bracchi e Ghepardi]), quindi alla Grotticina di Vulcano, per saldarsi al Palazzo (ampliato anch’esso in ossequio alla ‘regalità’ del committente). Nell’addizione seicentesca si colloca il ‘tema di Afrodite Pandemia’ che, dai molteplici fenomeni d’amore (il Tempo, la Bellezza, il Tradimento, il Segreto, solo per citarne alcuni), si riscontra in analoghi episodi scultorei tramite l’epicentro del bacino artificiale (l’Isola di Citera), topos ideale per il Tempietto di Venere e gli Eroti (qui graficamente ricostruito). Da saldatura anche fisica di tali concetti fungeva il rettilineo alberato del Viottolone, dove il forte dislivello naturale svolgeva il ‘tema di Ercole al bivio’ che oppone immagini del Vizio e della Virtù in un serrato dialogo figurativo, dove la natura di contorno assume autonome velleità simboliche. Fin dal 1613 le masse arboree vengono plasmate in geometrie regolari: per il maestoso Labirinto Vecchio si creano viali ellittici che richiamano le orbite dei ‘Pianetini medicei’ (una forte amicizia lega Buonarroti allo scienziato pisano), vanto culturale della dinastia toscana, arricchendo il contesto con opere di argomento arcadico e venatorio.
Il progetto originario inizia formalmente a dissolversi negli anni 1636-1637, quando il formalismo religioso – affermatosi durante la reggenza delle ‘Serenissime Tutrici’ – raggiungerà l’apice con le nozze tra Ferdinando II e Vittoria della Rovere.